Un Viaggio nel Tempo al Museo Leone di Vercelli

Il Museo Leone di Vercelli attraverso i ricordi di un visitatore che ha vissuto la magia di questo luogo incantato fin da bambino.

Era una giornata luminosa, una di quelle in cui l’aria sembra scintillare di una magia particolare, quando mia madre mi portò per la prima volta al Museo Leone di Vercelli. Avevo sei, forse sette anni, e ricordo ancora con nitidezza il battito eccitato del cuore mentre varcavamo l’ingresso di quel luogo che sembrava incantato.

Oggi, a distanza di decenni, mi trovo di nuovo davanti a quel portone discreto e borchiato che mi aveva già catturato da bambino. Il battito del mio cuore, ora più maturo, ritrova lo stesso entusiasmo di allora. Varco la soglia, e immediatamente mi sento avvolto da un senso di nostalgia e meraviglia.

La breve scalinata mi conduce al cortile porticato di Casa Alciati. Mi fermo un attimo, chiudo gli occhi e mi lascio pervadere dai ricordi di concerti e manifestazioni culturali che animano sovente questo spazio. L’acustica perfetta risuona ancora nelle mie orecchie come un’eco lontana, e quasi mi sembra di sentire le note di un pianoforte che si diffondono nell’aria.

Proseguo verso la “Manica di Raccordo”, il passaggio che collega i due edifici storici. Entrare nella Sala delle Colonne è come ritrovare un vecchio amico. Le alte colonne grigie si ergono maestose, e al centro, la teca cilindrica custodisce ancora il vaso antico, immutato nel tempo. Mi avvicino, e attraverso il vetro osservo i dettagli che tanto mi avevano affascinato da bambino. Ogni graffio, ogni segno racconta una storia, e mi sento di nuovo un esploratore in un mondo di meraviglie.

Lasciando la sala delle colonne, entro nella maestosa sala romana. La luce naturale filtra dalle ampie finestre, creando giochi di ombre sui reperti esposti. Le lapidi, le iscrizioni e le statue mi parlano di un passato remoto che continua a vivere tra queste mura. Al centro della sala, la statua bronzea dell’imperatore romano mi accoglie con la stessa solennità di allora. Mi fermo a osservare ogni dettaglio, davanti a un sarcofago, ammirando le decorazioni intricate, cercando di immaginare le vite delle persone che hanno creato e utilizzato questi oggetti.

Poi mi fermo nei pressi di uno dei miei ricordi più vividi: un pezzo di strada romana. Fin da piccolo, quel tratto di antica via mi aveva affascinato immensamente. Osservavo quei ciottoli levigati e immaginavo percorsi infiniti, località lontane, un susseguirsi di panorami e storie. Quella strada mi trasportava in un mondo di viaggiatori, mercanti e legionari, un mondo in cui ogni passo era un’avventura. Mi inginocchio per toccare quei ciottoli, sentendo sotto le dita la stessa freschezza e solidità di allora. Chiudo gli occhi e mi sembra quasi di sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli e le voci di chi, secoli fa, percorreva quella via.

Proseguo e arrivo alla sala del crocifisso. Mi colpisce subito la sua imponenza, l’aura sacra che lo avvolge. Ricordo quando, da bambino, osservavo l’originale all’interno del Duomo con un misto di reverenza e curiosità quella figura di Cristo trionfante. Mi avvicino per vedere i dettagli di questa copia fedele, ogni venatura, ogni traccia lasciata dal tempo sembra raccontare una storia di fede e devozione. Le pareti circostanti sono adornate da frammenti di epigrafi antiche, testimonianze di epoche passate che continuano a vivere attraverso queste reliquie.

Dal crocifisso mi sposto nella sala dei mosaici, dove l’architettura e l’arte si fondono in un’unica sinfonia visiva. Le pareti sono decorate con riproduzioni di mosaici antichi, e al centro, un’arcata trionfale sembra quasi un portale verso un’altra dimensione. Le sculture esposte, i frammenti di colonne e i bassorilievi completano questo affresco di un passato glorioso. Mi fermo davanti a un sarcofago scolpito con scene mitologiche, e ancora una volta, mi perdo nei dettagli, immaginando le storie che vi sono incise.

Poi, poco prima dell’ingresso nella Sala delle Cinquecentine, dedicata a conferenze ed esposizioni temporanee, si trovano un paio di vecchi plastici, immutati da oltre 50 anni, rappresentanti la Vercelli medievale. Non manco mai di osservarli, era un’epoca d’oro per la mia città e soffermandomi di fronte ad essi gli rendo omaggio. Ogni volta che li vedo, il cuore mi si riempie di orgoglio per le glorie passate e di desiderio di trasmettere queste storie alle nuove generazioni.

Da qui mi avvicino alla sezione dedicata al Risorgimento, dove mi immergo nelle atmosfere di quell’epoca cruciale. Le sale sono piene di cimeli e documenti storici, e osservo con attenzione mappe, dipinti e statue che raccontano le vicende dei patrioti italiani.

Proseguo attraverso le sale che documentano altre vicende del primo ‘900. Ogni angolo offre uno sguardo profondo su momenti significativi della storia, fino a quando un busto di marmo attira la mia attenzione: Giovanni Antonio Bazzi, detto ‘Il Sodoma’, celeberrimo pittore vercellese, la cui figura è stata ingiustamente trattata con poca benevolenza da Giorgio Vasari nel suo ‘Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani’. Mi soffermo davanti a lui, riflettendo sulla sua arte e sulla sua storia.

Infine, raggiungo l’atrio del Palazzo Langosco, dove una splendida carrozza d’altri tempi staziona, ormai addormentata. La sua eleganza e i dettagli raffinati evocano un’epoca di fasti e viaggi a volte difficoltosi. Mi fermo ad ammirarla, quasi potessi sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli e il fruscio delle redini.

Appena superata la carrozza, mi trovo davanti l’imponente scalone d’onore. L’architettura barocca mi avvolge con le sue decorazioni elaborate e i suoi stucchi preziosi. Salgo lentamente, assaporando ogni passo, ogni dettaglio. Il soffitto affrescato, le balaustre finemente scolpite, tutto mi parla di un passato glorioso che continua a vivere in queste mura.

Giunto al piano nobile, mi trovo davanti una porta che conduce a una serie di sale affascinanti. Entro in una stanza dai toni rosso porpora, riccamente decorata con affreschi sul soffitto e quadri che adornano le pareti. Al centro della sala, vetrine espongono cofanetti preziosi e reliquiari, oggetti che raccontano storie di devozione e artigianato squisito. Le pareti, coperte di ritratti di personaggi illustri, mi osservano con occhi antichi, carichi di saggezza e segreti.

Proseguo il mio cammino e raggiungo la sala delle ceramiche. Le vetrine, allineate lungo le pareti, mostrano piatti e vasi finemente decorati. Ogni pezzo è un’opera d’arte, un piccolo capolavoro che porta con sé tracce di vite passate, di tavole imbandite e cene festose. Mi fermo a osservare i dettagli, le decorazioni minuziose e i colori vivi, immaginando le mani che hanno creato queste meraviglie.

Da lì passo alla sala degli oggetti in ferro battuto. Vetrine ricolme di serrature antiche, chiavi e candelabri catturano la mia attenzione. Ogni oggetto è un esempio di abilità artigianale, e mi sorprendo a pensare alle storie che potrebbero raccontare, a chi ha utilizzato quelle chiavi per aprire porte segrete o accendere candele in antiche dimore.

Attraverso una serie di porte finemente scolpite, ognuna delle quali sembra una cornice che racchiude il passaggio a un nuovo mondo. Mi ritrovo in una sala dedicata alle armi antiche, con spade e armature che raccontano storie di cavalieri e battaglie. Una statua di un cavaliere a cavallo domina la sala, e mi fermo ad ammirare l’espressione determinata del cavaliere e i dettagli della sua armatura.

Proseguo e, come in un crescendo, arrivo finalmente al loggiato. Questo spazio, con le sue grandi finestre ad arco che lasciano entrare la luce del giorno, mi accoglie come un abbraccio. Mi avvicino a una delle finestre e guardo fuori. I tetti rossi delle case vicine si estendono davanti a me come un mare di tegole, e per un momento, mi perdo nei pensieri. Le grate di ferro battuto delle finestre, con i loro intricati disegni, aggiungono un tocco di eleganza e mistero alla vista. Ogni dettaglio sembra invitare alla contemplazione, all’introspezione. L’atmosfera è perfetta per ispirare il lavoro di un artista o di un ricercatore, offrendo un rifugio tranquillo lontano dal frastuono del mondo esterno.

Mi siedo per un momento, lasciandomi cullare dalla quiete e dall’atmosfera sospesa nel tempo. Da questa posizione privilegiata, posso osservare i tetti delle case vicine e le torri medievali che si stagliano contro il cielo, un panorama che sembra un dipinto vivente, un omaggio alla bellezza senza tempo di Vercelli.


È con un senso di serenità che mi alzo e mi avvio verso l’uscita. Ma prima di lasciare il museo, sosto davanti al busto di Camillo Leone. La scultura, con il suo sguardo intenso e i baffi imponenti, sembra vigilare con orgoglio su questa collezione di “cose belle” che lui ha raccolto con tanto amore.

Leggo la targa accanto al busto, che racconta la vita di questo appassionato collezionista, un uomo che ha dedicato la sua esistenza a raccogliere e preservare frammenti di storia e arte per il piacere di condividerli con altri. Rifletto su come la sua visione e la sua generosità abbiano permesso a generazioni di visitatori di immergersi in questo mondo affascinante, proprio come sto facendo io oggi.

Ogni sala del museo è un viaggio nel tempo, un’esplorazione di epoche diverse e culture lontane. La mano di mia madre, che non è più al mio fianco, è sostituita da una dolce nostalgia che mi accompagna in questo viaggio nel tempo. Mi fermo un attimo e mi volto a guardare indietro. Le sale del Museo Leone mi appaiono ancora più belle, come se il tempo non avesse fatto altro che aumentare il loro fascino.

Con un ultimo sguardo di gratitudine, esco dal Museo Leone, portando con me non solo la bellezza delle opere viste, ma anche l’ispirazione di un uomo che ha trasformato la sua passione in un dono per la collettività. Il sole è ormai calato, ma il calore e la luce di questo luogo continuano a risplendere dentro di me, come una luce che guida il mio amore per la storia e l’arte. Esco con gli occhi pieni di immagini e il cuore colmo di emozioni, grato per questo ritorno a un luogo che continua a incantarmi, proprio come la prima volta.

Marco Mattiuzzi

By Marco Mattiuzzi

Artista poliedrico, ex docente e divulgatore, ha dedicato anni all'arte e alla comunicazione. Ha insegnato chitarra classica, esposto foto e scritto su riviste. Nel settore librario, ha promosso fotografia e arte tramite la HF Distribuzione, azienda specializzata nella vendita per corrispondenza. Attualmente è titolare della CYBERSPAZIO WEB & STREAMING HOSTING. Nel 2018 ha creato il gruppo Facebook "Pillole d'Arte" con oltre 65.000 iscritti e gestisce CYBERSPAZIO WEB RADIO dedicata alla musica classica. Collabora con diverse organizzazioni culturali a Vercelli, tra cui Amici dei Musei e Artes Liberales.
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