All’inizio del XIX secolo, in una modesta casa di Carovigno, provincia di Brindisi, veniva alla luce Salvatore Morelli, destinato a essere un sostenitore infaticabile dell’eguaglianza e della giustizia. Frutto della modesta unione tra Casimiro, un impiegato statale, e Aurora Brandi, casalinga, Morelli sarebbe cresciuto per diventare uno dei pensatori più progressisti del suo tempo.
Avvolto dall’energia pulsante di Napoli, dove aveva traslocato per conseguire una laurea in giurisprudenza, Morelli si trovò presto nel bel mezzo di un effervescente crogiolo culturale. Frequenta i salotti di Giuseppe De Cesare e Giuseppina Guacci Nobili, immergendosi in discussioni stimolanti con personalità provenienti dal mondo dell’arte, della letteratura e della politica. Fu anche qui che si avvicinò alle idee rivoluzionarie della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, e si dedicò all’arduo mestiere del giornalismo.
Ritornato nelle contrade pugliesi, scelse Lecce come base per propagare le sue convinzioni liberali e democratiche. Qui, si unì alla Guardia Nazionale di Carovigno, che ebbe breve durata. Ma, il suo ardore rivoluzionario costò caro: per aver ardito bruciare un ritratto di Ferdinando II, re delle Due Sicilie, nella piazza della sua città natale, fu processato e condannato a otto anni di detenzione.
Non si lasciò scoraggiare dalle pareti di una cella o dalla brutalità dei suoi carcerieri. A Ponza e poi ad Ischia, sotto continue torture e umiliazioni, trovò la forza per educare i minori dell’isola e per rimanere in contatto con altri detenuti politici. Mentre era agli arresti domiciliari a Lecce, ospite della famiglia Greco, scrisse “La donna e la scienza considerate come soli mezzi atti a risolvere il problema dell’avvenire”, un testo che avrebbe riscosso un grande successo.
Con la caduta del regime borbonico, ritrovò la libertà e una nuova opportunità per dare voce alle sue idee. A Napoli, la sua partecipazione alla vita politica non si limitò alla pubblicazione di libri o articoli; come consigliere comunale, si dedicò a problemi pratici quali l’istruzione pubblica, l’igiene e la costruzione di infrastrutture. Ma fu nel Parlamento italiano, dove fu eletto deputato per quattro legislature, che Morelli trovò il palcoscenico per le sue più ardite battaglie: la riforma dell’istruzione, l’abolizione della dote come requisito per il matrimonio militare, l’introduzione del voto amministrativo per le donne, e molte altre.
Morelli fu un uomo del suo tempo, ma anche molto avanti rispetto a esso. Mentre altri si limitavano a considerare l’eguaglianza dei diritti come un anello di una più ampia catena di problemi sociali, lui la poneva come una questione autonoma e centrale. Non un accessorio, ma il cuore palpitante di una nuova visione per la società italiana.
Il suo impegno era sottolineato da una visione romantica delle donne, viste come portatrici di virtù naturali e come pilastri della famiglia e del rinnovamento sociale. Egli lottò per una completa parità di diritti, per l’introduzione del divorzio, e per la tutela dei figli illegittimi. Tra le numerose leggi che propose, quella che riconosceva alle donne il diritto di essere testimoni in atti pubblici e privati fu l’unica a diventare legge nel 1876.
Salvatore Morelli è un nome che merita di essere ricordato. Il suo impegno per una società più giusta e equa non è solo un’eredità del passato, ma un monito per il presente. In un’epoca in cui i diritti delle donne e l’eguaglianza sono ancora temi dibattuti, la sua storia serve da faro, illuminando la via verso un futuro in cui tali diritti non saranno più una questione di dibattito, ma una realtà scontata.
In un mondo che sembra aver dimenticato quanto sia preziosa la lotta per l’eguaglianza, personaggi come Salvatore Morelli meritano di essere tirati fuori dall’ombra e posti sotto i riflettori della memoria collettiva, affinché le nuove generazioni possano trovare in loro l’ispirazione per proseguire la lotta.