Se le pareti dei musei potessero parlare, avrebbero molte storie da raccontare. Tra queste, una delle più curiose riguarderebbe la decenza marmorea e l’ironia del coprifuoco imposto ai genitali maschili. Accompagnatemi in un viaggio divertente ed istruttivo nell’arte della censura artistica.
L’arte classica è famosa per la sua nudità. Non importa se ci troviamo ad Atene o a Roma, nei musei ci imbattiamo in eroi, divinità, e perfino imperatori, tutti fieramente svestiti. Tuttavia, in certi periodi storici, queste nudità sono state considerate, ehm, un po’ troppo audaci.
Durante la seconda metà del XVI secolo, all’apice del Rinascimento, la Chiesa cattolica affronta una profonda crisi di fede e di morale. Il Concilio di Trento, convocato per rispondere alle sfide della Riforma protestante, genera un rinnovato fervore religioso che prende il nome di Controriforma. È in questo contesto che la questione della decenza nell’arte diventa un problema.
Pensate agli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina: sono un capolavoro, certo, ma quei nudi integrali sembrano un po’ fuori luogo in una chiesa. Così, il pittore Daniele da Volterra soprannominato da allora il “Braghettone” viene incaricato di aggiungere perizomi o foglie di fico strategicamente piazzate per coprire le parti intime dei personaggi. E così, la foglia di fico diventa la divisa ufficiale dei nudi ecclesiastici.
E che dire dell’uso della foglia di fico nelle statue? Durante la stessa epoca, molte statue romane furono “evirate” o modificate con l’aggiunta di foglie di fico in marmo o bronzo. Ma chiunque abbia visto una di queste statue non può fare a meno di notare che la foglia di fico attira l’attenzione più di quanto la distragga. In pratica, la foglia di fico diventa un cartello che dice: “Ehi, guarda qui!”
L’ironia della situazione, però, non si esaurisce qui. Pensiamo, infatti, alla foglia di fico, che ha acquisito nel tempo una connotazione sessuale. Dopo aver mangiato il cosiddetto “frutto proibito”, che ha destato in loro la consapevolezza della nudità, Adamo ed Eva si coprirono con foglie di fico. In maniera ironica, quindi, l’elemento utilizzato per celare la nudità è diventato, a causa della sua stessa funzione, un simbolo implicito di ciò che copre. In un certo senso, la foglia di fico diventa un sottile richiamo alla nudità e al peccato originale, rivelando, in maniera simbolica, ciò che tenta di nascondere.
Quindi, la prossima volta che vi trovate di fronte a una statua in foglia di fico, non potrete fare a meno di sorridere al pensiero di tutta questa storia ridicola e, allo stesso tempo, profondamente umana. Dopotutto, non c’è nulla di più naturale del corpo umano, anche se coperto da una foglia di fico.
E ancora oggi, questa danza del pudore continua. Un recente esempio di questo risale al 2016, quando durante la visita di Hassan Rouhani, allora presidente dell’Iran, a Roma, le statue nude nei Musei Capitolini sono state letteralmente inscatolate per evitare possibili imbarazzi. Un caso di censura che ha suscitato molte discussioni e ha dato origine a un acceso dibattito sull’equilibrio tra rispetto delle diverse culture e tutela del patrimonio artistico.
Questo episodio, pur essendo di natura diversa rispetto a quelli del passato, evidenzia come l’arte continua ad essere uno specchio dei cambiamenti sociali e culturali e come il nudo nell’arte, nonostante secoli di evoluzione culturale, possa ancora creare imbarazzo e controversie.
Non si può non notare l’ironia di un mondo in cui la rappresentazione dell’essere umano in tutta la sua bellezza naturale possa essere ancora considerata inopportuna. Ma, forse, questa è solo un’altra dimostrazione del potere dell’arte e della sua capacità di sfidare, sconvolgere e, talvolta, scandalizzare.
E così, la foglia di fico continua a danzare, tra l’arte e la morale, in un gioco ironico che ha attraversato secoli e continuerà ad accompagnare l’eterna bellezza del corpo umano nell’arte.