Il sipario si alza la sera del 5 dicembre nel Teatro Civico di Vercelli, e il pubblico è subito trasportato in un universo dove la scenografia di Alessandro Serra predomina maestosa. Assistere a “La Tempesta” di William Shakespeare è stato un viaggio nelle profondità dell’arte teatrale. La commedia originale di Shakespeare, con la sua trama che intreccia magia, potere e redenzione, è stata il fondamento su cui Serra ha costruito un’interpretazione visiva mozzafiato curando la regia, le scene, le luci i suoni e i costumi.
La luce, elemento vitale dell’allestimento, non si limita a illuminare ma plasma lo spazio scenico, trasformandosi in un personaggio silenzioso ma potente. I coni di luce disegnano, contornano e danno vita agli attori, mentre i muri di teli neri assorbono ed espandono la luminosità, creando un gioco di ombre e di rilievi che sembrano danzare con la trama stessa.
Ogni elemento sul palco è un frammento di un puzzle più grande, un dettaglio in un quadro che si compone sotto gli occhi degli spettatori. I costumi, fedeli eppure innovativi, si fondono con il movimento degli attori, ricordando le scene pittoriche del registra Peter Greenaway, dove ogni gesto è carico di significato e ogni posa è un’opera d’arte. La commedia si svolge in una serie di quadri viventi, con l’illuminazione radente che scolpisce i visi e le figure, esaltandone i tratti come in un dipinto di Caravaggio, dove luce e buio si sfidano in un eterno contrasto.
Gli attori, con una recitazione che non ammette incertezze, trasportano il pubblico attraverso la gamma emotiva umana. La loro performance è un dialogo continuo tra la parola di Shakespeare e il corpo che la esprime. La commedia, intrisa di momenti scurrili com’era usuale all’epoca, gioca con i contrasti, mantenendo quella leggerezza che è firma del drammaturgo inglese, pur toccando temi profondi e universali.
Il culmine dello spettacolo è la danza, un momento di pura estasi teatrale, con musiche che evocano l’oscuro e suggestivo “Vampire Masquerade” di Peter Gundry. È un richiamo alle feste mascherate, un’evocazione di tempi antichi e misteriosi. La scena del “mostro” che balla e si esibisce in acrobazie, con tanto di tuba e frac, si dipana con un umorismo che sfiora il grottesco, un chiaro cenno al “Frankenstein Junior” di Mel Brooks, introducendo un divertissement che bilancia il dramma e l’intensità delle scene precedenti.
Infine, la presenza scenica di Calibano, Trinculo e Stefano rievoca in modo vivace l’essenza della commedia dell’arte napoletana. Con la loro buffa grettezza e gli scambi di battute che sfiorano l’assurdo, queste figure sembrano incarnare l’archetipo di Pulcinella, con i suoi intricati intrecci e situazioni al limite del reale. L’interazione tra questi tre personaggi, piena di equivoci e beffe, porta una ventata di quella comicità genuina e spesso improvvisata che è da sempre simbolo della tradizione teatrale partenopea, aggiungendo così un sapore unico allo spettacolo che si fonde perfettamente con l’atmosfera magica e surreale della narrazione shakespeariana.
La Tempesta, così reinterpretata, è più di una rappresentazione: è una celebrazione del teatro come arte visiva e narrativa, dove ogni minimo dettaglio contribuisce a un’esperienza totale. È un’opera che cattura l’essenza della tragedia e della commedia umana, lasciando nel pubblico un senso di meraviglia e di contemplazione che perdura ben oltre l’applauso finale.