Visitando la mostra “Il legno che Canta”, in corso fino all’8 gennaio 2024 presso l’ARCA nella Chiesa di San Marco a Vercelli, un evento celebrativo dedicato al Maestro Angelo Gilardino, si può ammirare, tra le varie opere dell’Ottocento, una straordinaria tela di Giacomo Grosso. Quest’opera si distingue non solo per le sue dimensioni imponenti, ma anche per la rappresentazione inusuale e profondamente umana di un tema classico, offrendo una nuova prospettiva sulla sacralità tramite l’intimità e il quotidiano.
Giacomo Grosso, nato a Cambiano il 23 maggio 1860 e scomparso a Torino il 14 gennaio 1938, fu un artista che incarnò con maestria lo spirito del realismo italiano. Educato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, la sua tecnica accademica e il conservatorismo stilistico gli aprirono le porte al successo presso l’aristocrazia e l’alta borghesia, portandolo a ricevere numerosi premi e riconoscimenti. Grosso espose in tutta Europa, frequentò Parigi e viaggiò fino a Buenos Aires per un importante incarico artistico. Fu anche professore di pittura presso la sua alma mater dal 1889 e influenzò una generazione di artisti, tra cui Augusto Ferrari e Cesare Saccaggi.
Nella sua carriera, Grosso fu talvolta al centro di controversie, come quelle suscitate dalla sua opera “Supremo convegno”, che gli attirò la condanna del patriarca di Venezia ma anche la difesa di personalità letterarie come Antonio Fogazzaro. Il suo approccio ironico alla pittura, definendo sé stesso “solo un pittore” in contrapposizione ai colleghi che si distanziavano dalla tradizione accademica, sottolinea la sua umiltà artistica. Nonostante le critiche, fu nominato senatore del Regno d’Italia nel 1929, riconoscimento dell’importanza della sua arte e del suo impatto culturale.
Questo contesto biografico ci aiuta a comprendere la profondità e l’importanza della “Sacra Famiglia”, che è stata esposta alla prima edizione della Quadriennale di Torino nel 1902 e poi al Salon di Parigi nel 1903, dove ha ricevuto una medaglia d’oro. Le dimensioni stesse del dipinto (253×395 cm) sono una dichiarazione della sua importanza e del riconoscimento che ha ottenuto. La “Sacra Famiglia” non è solo un’opera d’arte di notevole grandezza fisica; è anche un simbolo del contributo di Grosso al panorama artistico e culturale italiano
Nella tela “Sacra Famiglia”, Giacomo Grosso cattura l’essenza di una sacralità vissuta con quotidiana semplicità. La composizione raffigura San Giuseppe, il falegname, in un momento di pausa dal suo lavoro: le mani ferme, gli attrezzi a riposo, e lo sguardo pieno di un affetto profondo e di un tacito rispetto per il figlio adottivo. Quest’ultimo, il giovane Gesù, si erge come una figura centrale, la sua giovane età non pregiudica la profondità del suo messaggio e la gestualità con cui lo trasmette. È circondato da trucioli di legno che simboleggiano la sua umile provenienza e la sua connessione con il lavoro manuale.
Maria, la madre, è un’immagine di grazia e contemplazione; avvolta nel suo manto, osserva Gesù con occhi che sono finestre su un amore incondizionato e su un presagio di dolore, come se attraverso la tela potesse vedere il destino che attende suo figlio. La sua figura è al contempo potente e riservata, un pilastro silenzioso ma fondamentale di questa scena familiare.
La presenza di altre figure, gli ascoltatori collocati sulla soglia della bottega, aggiunge una dimensione comunitaria all’opera. Essi sono ritratti in abbigliamento d’epoca, conferendo veridicità alla scena e sottolineando l’umanità dell’evento miracoloso. La loro attenzione è catturata dalle parole di Gesù, e in loro si riflette la varietà delle risposte umane di fronte al divino: meraviglia, scetticismo, devozione e curiosità.
Grosso utilizza la luce per enfatizzare il sacro nel quotidiano: il chiarore che illumina Gesù, in contrasto con il resto dell’ambiente più dimesso, crea un’atmosfera quasi teatrale, dove i soggetti principali sono messi in risalto come in una scena di un’antica rappresentazione. La scelta di collocare la Sacra Famiglia in una bottega e non in un ambiente tradizionalmente sacro rimarca l’idea di un divino intriso nella vita di tutti i giorni, accessibile e vicino alle persone comuni. Con questa opera, Grosso fa appello alla capacità dell’arte di elevare l’ordinario al rango di straordinario, invitando lo spettatore a cercare il sacro nella propria vita quotidiana.