Seduto in prima fila al Teatro Civico di Vercelli, giovedì scorso, mi sono trovato immerso in un’esperienza che trascende il semplice atto di assistere a uno spettacolo. “Les Nuits Barbares”, del coreografo Hervé Koubi, non è stato solo un viaggio nel cuore delle culture mediterranee, ma un’esplorazione intima di ciò che l’arte del corpo e della luce può evocare nell’animo umano.
Da quella posizione privilegiata, ogni movimento dei ballerini si presentava come una pennellata viva su una tela oscura. La possanza dei loro muscoli in tensione, l’agilità quasi sovrumana dei loro corpi, rendeva ogni gesto una dichiarazione di lotta e armonia, di storia e mito. Era come osservare una scultura animata: ogni salto, ogni contorsione sembrava congelarsi per un istante nell’aria, prima di sciogliersi in una nuova forma. Il palco si trasformava in una sorta di reliquiario vivente, dove passato e presente si fondevano in un unico, ipnotico respiro.
Le luci, poi, erano un’opera d’arte in sé. Proiettavano ombre lunghe e nette, che danzavano a loro volta sulle pareti del teatro, trasformando la scena in un quadro vivente che avrebbe senza dubbio ispirato Caravaggio. I contrasti tra la penombra avvolgente e i fasci luminosi che scolpivano i volti e i corpi dei ballerini donavano a ogni scena un’aura sacra, quasi mistica. Era come se il palcoscenico fosse diventato un altare, e noi spettatori i devoti di un rituale ancestrale.
La coreografia di Koubi, con la sua fusione di danza classica, breakdance e movimenti tribali, richiamava alla mente le recenti video-art che ho ammirato alla Biennale 2024 di Venezia. Gli artisti contemporanei, sempre più spesso, utilizzano il corpo come veicolo di messaggi sociali e spirituali, e qui Koubi ha saputo fare altrettanto. I movimenti dei danzatori non erano mai gratuiti, ma intrisi di una narrativa implicita: guerre, migrazioni, incontri e scontri di civiltà. Come nei migliori video performativi visti a Venezia, anche qui la fisicità si intrecciava con la dimensione sonora in modo viscerale. Le musiche, un’armoniosa alternanza tra ritmi ancestrali e composizioni classiche, non erano un mero accompagnamento, ma un cuore pulsante che animava l’intera performance.
Il messaggio sociale era forte, ma mai didascalico: gli eserciti di guerrieri-ballerini che si muovevano come un corpo unico, le loro esplosioni di energia seguite da momenti di raccoglimento silenzioso, raccontavano la storia di un’umanità sempre in bilico tra il barbarico e il sublime. Si percepiva il peso della tradizione, ma anche la spinta verso il nuovo, verso il futuro. E in questo, Koubi si collega idealmente alla sensibilità degli artisti contemporanei che usano il linguaggio della performance per sfidare, provocare e ispirare.
Quando le luci si sono spente e il sipario è calato, ho avuto la sensazione di aver partecipato a qualcosa di raro e prezioso, un’esperienza che non si limita a intrattenere, ma che si insinua nelle pieghe della memoria, lasciando un’impronta profonda. “Les Nuits Barbares” non è solo uno spettacolo, ma un’opera d’arte totale, capace di risvegliare gli occhi, il cuore e l’immaginazione.
Marco Mattiuzzi
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