All’ombra della magnifica Basilica di Sant’Andrea di Vercelli, un gioiello architettonico che ha attraversato otto secoli di storia, si cela un enigma di pietra e fede. La lunetta del portale centrale, ornata da una ghiera che evoca l’eternità con i suoi racemi intricati, si rivela come una pagina narrativa attribuita alla bottega di Antelami, dove la pietra diventa pergamena, i cunei diventano lettere, e ogni figura scolpita racconta un racconto.
Tre fedeli, rappresentati con una vivacità di dettaglio che sfiora l’anima, attendono sulla sinistra. Un giovane dalle sembianze ardite, un uomo dall’espressione sapienziale segnata dalla barba, e una donna, il cui velo sembra sussurrare di modestia e devozione, sono gli spettatori silenziosi di un dramma divino. Al centro, la croce si erge non come lo strumento di morte comunemente riconosciuto, ma come un segno di interrogazione scolpito nel tempo: sant’Andrea vi è legato, la sua figura scolpita con tale maestria da sembrare quasi animata da un respiro sofferente.
In questa scena, dove il marmo imita la vita, due figure affiancano la croce, testimoni del sacrificio del santo. E lì, nel dominio del lato destro, si posa la figura imponente di Egeas, il proconsole, la cui autorità è resa palpabile dalla sua posa maestosa su uno scranno d’epoca.
In alto, quasi a custodire l’epilogo celeste di questa tragedia terrena, un angelo regge una corona, simbolo di trionfo e ascensione, pronto a guidare l’anima di sant’Andrea verso l’empireo. Ma è l’iscrizione, incisa con reverenziale precisione sull’architrave, a rivelare senza equivoci la natura di questo episodio: il martirio del santo come epitaffio e confessione.
Le ipotesi che gravitano intorno alla veridicità della scena, con alcune voci che susurrano di una possibile Deposizione del Cristo o di un tributo ai tre magi, vengono placate dalla lettura attenta dell’iconografia: i polsi del santo, avvolti da corde anziché trafitti da chiodi, parlano di una verità che si dipana oltre la leggenda, tessendo il filo d’oro della tradizione che predilige un martirio esteso, una prova di fede che si dilunga nel tempo.
L’interpretazione è ulteriormente solidificata dalle figure che popolano la scena: a sinistra il popolo che beve dalle parole di Andrea, a destra gli uomini che si dibattono tra il desiderio di liberarlo e l’accettazione delle sue ultime volontà. E poi c’è Maximilla, moglie del proconsole, ritratta in un gesto di venerazione e pietà che preannuncia la sua scelta di onorare il corpo del santo con una sepoltura degna.
In questa opera, la Basilica di Sant’Andrea di Vercelli non si limita a essere un mero contenitore di arte; diventa essa stessa un narratore, un interprete silenzioso che offre ai suoi visitatori non solo un’immersione nella storia, ma un dialogo con l’eternità. La lunetta, con il suo carico di simboli e significati, invita a un viaggio oltre il visibile, verso una comprensione più profonda dell’arte, della fede e dell’umanità intessuta nel tempo.