Nel ricco affresco dell’opera di Charles Dickens, i colori più vividi e tormentati si svelano nei ritratti dell’infanzia. L’ombra lunga dell’infanzia affamata, abbandonata e abusata, oscilla lungo le pagine dei suoi romanzi, dipingendo immagini evocative di un’epoca che si scontrava con la sua stessa coscienza.
Dickens, nato nel 1812 e vissuto nell’epoca vittoriana, un periodo di intenso cambiamento sociale e culturale, ha attinto spesso dalla sua stessa esperienza per plasmare i suoi personaggi. A 12 anni, Dickens fu costretto a lavorare in una fabbrica di lucidi per scarpe, un’esperienza che segnò profondamente la sua sensibilità e che riemerge in opere come “David Copperfield” e “Grandi speranze”.
Le sue storie, intrise di sentimenti profondi e spesso sofferti, esprimevano una sensibilità emotiva caratteristica dell’Ottocento. Il concetto di sensibilità, in quel periodo, assumeva un significato particolare. Era visto come un riflesso della profondità dell’anima, della capacità di empatizzare e di provare emozioni intense. Non era raro, né vergognoso, manifestare tali emozioni in maniera aperta. Piangere leggendo un romanzo, per esempio, era considerato una reazione del tutto normale e accettabile.
Questo stato d’animo è visibile nelle pagine di Dickens, dove i personaggi spesso si confrontano con le proprie emozioni in maniera intensa e diretta. Pensiamo a Pip in “Grandi speranze”, tormentato dalla vergogna e dal desiderio di rispettabilità, o a Oliver Twist, la cui innocenza e fiducia incondizionata sono costantemente messe alla prova da un mondo spietato.
La scrittura di Dickens è pervasa da una sorta di emotività pura, che risuona con la sensibilità dell’Ottocento. Le sue parole evocano immagini e sentimenti potenti, ricordandoci costantemente l’importanza dell’umanità e della compassione. Nelle sue opere, le emozioni sono un veicolo per esplorare la condizione umana, per comprendere la sofferenza e l’ingiustizia, ma anche per celebrare la resilienza e la speranza.
Allo stesso tempo, l’autore non si limita a svelare le emozioni dei suoi personaggi. Le sfrutta per creare un legame profondo con il lettore, invitandolo a sentire, a sperimentare, a provare. La sua narrativa, ricca di pathos, ci fa immergere nella vita dei personaggi, ci fa condividere le loro paure, le loro speranze, i loro sogni.
Dickens ci insegna che le emozioni, lungi dall’essere segni di debolezza, sono un’esperienza umana fondamentale, che ci definisce e ci unisce. Ci insegna che non dobbiamo vergognarci di provare sentimenti intensi, di piangere, di ridere, di sognare. In fondo, è attraverso le emozioni che riusciamo a comprendere veramente noi stessi e gli altri.
Nell’opera di Dickens, l’infanzia emerge non solo come un tempo di innocenza perduta, ma anche come un momento di profonda sensibilità emotiva. I suoi personaggi infantili, pur essendo vittime di un mondo spietato, sono dotati di una straordinaria capacità di sentirsi vivi, di sperare, di sognare. Questa, alla fine, è forse la lezione più grande che Dickens ci ha lasciato: la capacità di mantenere viva la speranza, nonostante tutto.
E’ proprio in questo messaggio, in questa celebrazione della sensibilità e dell’umanità, che risiede la grandezza dell’opera di Dickens. Una grandezza che risuona ancora oggi, e che ci ricorda costantemente l’importanza delle emozioni, dell’empatia, della compassione. Perché, come ci ha insegnato Dickens, è attraverso le emozioni che riusciamo a capire veramente il mondo, a sentirci veramente vivi.