Quando si varca la soglia della Basilica di Sant’Antonio a Padova, uno si ritrova immerso in un mondo di arte sacra, storia e spiritualità. Conosciuta comunemente come la Basilica del Santo, l’edificio è un vero gioiello architettonico, una tappa imprescindibile per chiunque visiti la città. Al suo interno, le opere d’arte si contano a dozzine, ognuna con il proprio fascino unico, ma c’è un monumento che mi colpisce sempre particolarmente.
Si tratta di un monumento funebre, il Monumento Funebre ai De Marchetti. Quest’opera, che combina in modo armonioso la bellezza artistica con un richiamo alle riflessioni più profonde sull’esistenza umana, mi affascina ogni volta che la vedo. Non è solo la maestria con cui è stata realizzata a catturare il mio sguardo, ma anche le emozioni che suscita quando si legge l’iscrizione incisa sulla lapide.
Realizzato nel 1690 dallo scultore Giovanni Comini, questo monumento in marmi policromi si distingue per il suo stile tipicamente barocco. La scena raffigurata sembra trarre ispirazione dal “Trionfo della Morte” del grande Gian Lorenzo Bernini, un altro capolavoro dell’arte barocca.
Al centro del monumento troneggia un’immagine di un scheletro volante con una tromba in bocca – un chiaro “memento mori” che ci ricorda la nostra mortalità. Questa figura, nonostante possa sembrare macabra, è rappresentata con una tale maestria che riesce ad attirare l’osservatore e stimolare la sua riflessione sulla caducità della vita.
Ma oltre alla centralità della figura dello scheletro, il monumento si arricchisce di simboli ulteriori che aggiungono strati di significato all’opera. In particolare, spiccano due figure animali: un gallo e una fenice.
Il gallo, nel contesto dell’arte e del simbolismo, è conosciuto per annunciare l’arrivo del giorno e la fine delle tenebre. Nell’Iconologia di Cesare Ripa, viene associato alla diligenza, alla vigilanza e, importantemente per i De Marchetti – entrambi medici -, alla medicina. Il suo richiamo mattutino diventa quindi simbolo della vigilanza che deve avere un buon medico, sempre pronto ad intervenire.
Alla presenza del gallo si affianca quella di una fenice, noto simbolo di resurrezione e rinascita. Questa immagine potente aggiunge un elemento di speranza e di continuità nel ciclo della vita e della morte, un richiamo alla potenza della vita che sempre si rinnova.
Nell’insieme, il Monumento Funebre ai De Marchetti diventa quindi un’affascinante composizione di simboli e allegorie. Le figure dei libri, simboli di sapere e conoscenza, sottolineano l’importanza della scienza e dello studio. Questa complessità di elementi si unisce a formare un ritratto vivido non solo dei defunti, ma anche della loro epoca e delle loro passioni.
Il monumento funebre di De Marchetti è un luogo di riflessione profonda e di memoria duratura. Al centro del monumento, si trova la lapide con il testo dell’elogio funebre alla vita dei due chirurghi, scritto dalla Morte stessa. Questo testo, ricco di pathos e di risonanza emotiva, invita il lettore a contemplare la mortalità e l’impermanenza della vita.
Sopra la lapide, si trova un simbolo significativo e ricco di significati: la clessidra alata. La clessidra alata rappresenta l’incessante passaggio del tempo: la sabbia che scorre inevitabilmente dal comparto superiore a quello inferiore è un richiamo alla nostra mortalità, un monito che tutto ciò che nasce deve un giorno tornare alla terra.
Le ali che adornano la clessidra amplificano ulteriormente questo messaggio. Le ali, in molti contesti culturali e religiosi, simboleggiano il volo, la velocità, la fugacità. In questo contesto, le ali sul simbolo della clessidra rafforzano l’idea del “tempus fugit”, del tempo che fugge inarrestabile. E’ un potente promemoria dell’effimera natura della vita umana e dell’importanza di valorizzare ogni momento che ci è concesso.
Il simbolismo della clessidra alata, quindi, si inserisce perfettamente nell’atmosfera di riflessione sulla vita e sulla morte che pervade l’intero monumento funebre. È un richiamo costante alla nostra mortalità, un invito a contemplare l’effimerità della vita e l’importanza di viverla con piena consapevolezza e gratitudine.
La fortuna divide tra uguali la gloria dei due chirurghi
[Antonio De Marchetti, a cui si deve il monumento, invita la morte a tessere l’elogio del padre e del fratello defunti]
Orsù morte, deposta la falce, impugna la penna, e narra le vite stroncate nel fior degli anni, che sei per compensare nell’Evo dei più validi
[quindi la morte accetta questo compito, pur tuttavia concludendo con un elogio a se stessa]
Affermo e testimonio che in questa tomba sono contenuti i resti mortali del Cavaliere di San Marco Pietro e di Domenico De Marchetti. Eccettuati questi resti mortali, niente vi è in loro di mortale: nell’emiciclo, ove insegnavano chirurgia sui cadaveri, dalle cattedre più celebri di chirurgia e di medicina, nei casi disperati di malattia, nella pubblicazione dei libri, monumenti di scienza, la città, la patria, i palazzi dei principi, tutto l’universo mai li ritennero essere mortali.
Ma proprio io, e mi vergogno nel confessarlo, ma mi vi obbliga l’amore del superstite Antonio verso il padre e il fratello, amore che rimarrà per sempre, proprio io molto spesso stupii che fosse concesso tanto potere su di me ai Marchetti.
Chi, dopo quanto sono stata obbligata a confessare, oserà dire che la morte è falsa?
Io, morte, non ho imparato ancora ad adulare le persone, né con la falce, né con gli scritti.
Anno del Signore 1690
La Basilica di Sant’Antonio è un luogo che racchiude in sé un’infinità di tesori, di storie e di significati. Il Monumento Funebre ai De Marchetti è uno di questi: un gioiello artistico e simbolico che merita di essere scoperto e apprezzato in tutte le sue sfaccettature. La prossima volta che vi trovate a Padova, fate un salto alla Basilica e prendetevi il tempo per osservare questo monumento: ne resterete affascinati.