In una silenziosa sala del Museo Leone a Vercelli, detta “Sala delle Cinquecentine”, un dialogo intimo si svolge non tra persone, ma tra chitarre e osservatori: è la mostra “Il legno che canta”, dove la maestria artigiana si unisce alla storia personale. Delle ventisei chitarre in esposizione, sei provengono dalla personale collezione del rinomato Maestro Angelo Gilardino, conosciuto non solo per le sue composizioni ma anche per la sua ricerca sugli strumenti capaci di tradurre in suono la poesia delle sue visioni musicali.
Le restanti venti chitarre, gentilmente prestate da appassionati collezionisti come Lorenzo Frignani, custode della Collezione Gilardino, e figure notevoli quali Luigi Biscaldi, Mario Grimaldi, Fabio Ardino, Barbara Ariata, Michele Biggioggero, e il noto regista Marco Tullio Giordana, rappresentano un arco temporale di stili, di evoluzioni nella fattura e di personalità diverse. Queste opere d’arte in legno, che racchiudono in sé secoli di evoluzione e perfezionamento, ora si svelano al pubblico, raccontando storie che si dipanano ben oltre la vita dei loro illustri possessori.
Il legno delle chitarre qui esposte ha risuonato sotto le dita di virtuosi, ha assorbito le vibrazioni di sale concerti prestigiose e ha testimoniato cambiamenti epocali nel mondo della musica. Queste non sono semplici casse di risonanza ma archivi viventi della cultura musicale, portali attraverso cui possiamo ascoltare l’eco di epoche passate.
Le sei chitarre di Gilardino, in particolare, rappresentano un capitolo fondamentale di questa narrazione: sono state compagne di viaggio di un artista nel suo percorso creativo e professionale. Sono state le sue interlocutrici, le sue muse ispiratrici, e attraverso le loro corde si è diffuso il genio di un uomo che ha saputo intessere note di rara bellezza esplorando territori sconosciuti.
Questi strumenti, scolpiti e cesellati con dedizione da mani esperte, diventano così ambasciatori di una tradizione che intreccia sapientemente artigianato, estetica e acustica. Come se ciascuna chitarra fosse una tela su cui pittori diversi hanno lasciato il segno con tecniche, colori e sfumature differenti, così ogni chitarra riflette la filosofia di costruzione e il tocco personale di chi l’ha posseduta e suonata.
Ma non si tratta di una semplice esposizione di meravigliosi strumenti musicali; è un invito a riconoscere queste creazioni come opere d’arte che respirano attraverso le mani dei loro maestri. Le chitarre esposte, ventisei testimoni di una maestria senza tempo, ci svelano un’intersezione unica fra la musica e l’arte visiva. Ogni curva, ogni angolo, ogni incastro non sono solo il frutto di una ricerca di perfezione acustica ma anche di estetica.
Come possiamo affermare che Michelangelo non abbia scolpito note nel marmo di David? Che Van Gogh non abbia pitturato melodie nei campi di grano? Le chitarre esposte evocano l’immortalità delle sculture di Phidias, ogni corda tesa è pronta a diventare una musa che canta. Sono come i dipinti di Caravaggio dove le tonalità non solo si vedono ma si fanno udire.. Ogni strumento è una composizione materiale che, una volta messa in movimento da mani esperte, si trasforma in una composizione armonica.
Nella sapiente lavorazione del legno, nell’intreccio di corde, nell’ingegneria di ponti e tastiere, si cela una dualità affascinante: uno strumento è una statua fino a quando il silenzio non viene spezzato da una nota. A quel punto, l’opera d’arte si completa con un’espressione che non è soltanto visiva, ma anche acustica. È l’arte che si rende audibile, è il design che diventa sensazione.
Così come le pennellate di un pittore danno vita a paesaggi e ritratti, le note scaturite da queste chitarre danno vita a paesaggi emotivi, ritratti dell’anima. Il loro design, frutto di secoli di affinamento e perfezione, racchiude in sé non solo la storia e la cultura di un popolo ma anche la tecnologia e l’innovazione.
Questi strumenti musicali non sono soltanto oggetti, sono alchimie di forma e funzione che permettono alla musica di nascere e di vivere. Sono ponti tra il mondo tangibile e quello delle emozioni, tra ciò che è statico e ciò che fluisce. Sono opere d’arte che permettono la nascita di altre opere d’arte: le melodie che saranno tramandate attraverso i secoli.
È così che la mostra “Il legno che canta” ci invita a riconsiderare gli strumenti musicali non solo come mezzi per fare musica ma come veri e propri tesori artistici. Il design, l’artigianato, la storia e le melodie che questi strumenti hanno ispirato e continuano a ispirare li rendono testimoni insostituibili di un’eredità culturale che va custodita e celebrata. Essi sono i custodi silenziosi della potenzialità musicale, aspettando solo un maestro che possa svegliare la loro anima.
La mostra sarà visitabile fino al 31 maggio 2024, e vi assicuro, cari lettori, che lasciarsi incantare dalle storie che queste chitarre hanno da raccontare è un’esperienza che va oltre l’ascolto. È un’immersione nell’essenza stessa della creatività umana, dove ogni strumento è un ponte tra il creatore e il fruitore, tra il passato e il presente, tra l’arte visiva e quella sonora.