Nella suggestiva cornice della Chiesa di San Bernardino a Vercelli, l’Associazione culturale La Rete ha aperto al pubblico una mostra dal titolo “Condannati a morte a Vercelli”. L’evento si presenta come un viaggio attraverso il tempo e la storia, esplorando uno dei temi più controversi e inquietanti: la pena capitale. Non solo la mostra propone cimeli e riproduzioni di strumenti di esecuzione utilizzati fino al XIX secolo, come la forca e il ceppo per la decapitazione, ma affonda le sue radici in un più profondo intento di riflessione etica e storica.
Lo Spettacolo della Morte
Uno dei tratti distintivi che emerge dalla visita alla mostra è il ruolo pubblico e collettivo che le esecuzioni rivestivano in passato. Non si trattava di eventi nascosti, ma di veri e propri spettacoli a cui la popolazione era chiamata ad assistere. In molti casi, era lo stesso governo a incoraggiare queste esecuzioni pubbliche come una forma di deterrente per il crimine. Le esecuzioni divenivano così parte della vita cittadina, trasformandosi in una lezione visibile e brutale su ciò che poteva accadere a chi violava le leggi.
Guardare attraverso gli occhi degli uomini di quei tempi non è affatto semplice per noi, abitanti del XXI secolo. Come potevano giustificare simili crudeltà? Come potevano accettare che la morte, inflitta nelle forme più dolorose e macabre, fosse una risposta sociale accettabile? In una cultura ancora permeata dalla religione e dalla punizione esemplare, la pena capitale aveva un duplice scopo: punire e disciplinare. Ma la presenza di un pubblico, spesso assiepato per assistere alla condanna di un criminale, aggiungeva un ulteriore strato di complessità. La folla, lontana da un empatico raccoglimento, partecipava a quella che potremmo chiamare “festa della morte”, trasformando l’esecuzione in una sorta di spettacolo. Come rimanere indifferenti di fronte a questa antitesi tra umanità e giustizia?
Le Confraternite della Misericordia
Parallelamente alla crudeltà delle esecuzioni, la mostra mette in evidenza il ruolo umanizzante delle confraternite. La Confraternita di San Bernardino, al centro della mostra, si faceva carico dell’assistenza spirituale e materiale ai condannati a morte. Gli ultimi istanti di vita, per chi aveva violato le leggi o commesso crimini imperdonabili, venivano accompagnati da preghiere, conforto e tentativi di riconciliazione spirituale. Il loro operato non era soltanto un atto di pietà cristiana, ma anche un tentativo di offrire un senso di umanità in un momento in cui ogni diritto, inclusa la vita stessa, veniva tolto.
Le confraternite agivano come l’ultimo baluardo di compassione in un contesto dominato da violenza istituzionalizzata. Esse incapsulano un’incoerenza intrinseca della società dell’epoca: da un lato l’atrocità della pena capitale, dall’altro la compassione per chi stava per perderla. In questo spazio liminale, i condannati trovavano forse una sorta di pace. Ma quanto può essere lenito il dolore di un destino segnato, che spesso si abbatteva con metodi talmente brutali da sfiorare la tortura?
Riflessioni sul Presente
Se la mostra ci permette di riflettere sul passato, inevitabilmente porta anche a domande sul nostro presente. Oggi, la pena capitale è stata abolita in molte parti del mondo, considerata inaccettabile da gran parte delle nazioni occidentali. Tuttavia, vi sono Paesi in cui è ancora ampiamente praticata. La presenza della pena di morte negli Stati Uniti, una democrazia storica e punto di riferimento per i diritti civili, appare particolarmente dissonante. Nonostante l’impegno globale per i diritti umani, gli Stati Uniti continuano a mantenere questa pratica in alcuni Stati federali. La complessità della situazione negli USA, dove una democrazia consolidata permette la pena di morte, ci costringe a riflettere su quanto la cultura della violenza e della punizione possa ancora persistere in contesti democratici.
D’altro canto, in alcuni Paesi sotto regimi autoritari come l’Iran, l’Arabia Saudita, la Cina e tanti altri, la pena di morte è uno strumento del potere per mantenere il controllo sulla popolazione. In questi casi, la giustizia si intreccia con la repressione politica e l’eliminazione degli oppositori, rendendo la pena capitale non solo uno strumento di legge, ma un mezzo di coercizione sociale.
Una Lezione di Storia e di Umanità
La mostra “Condannati a morte a Vercelli” si trasforma così in qualcosa di più di una semplice esposizione storica. È un invito a riflettere su come la giustizia e la punizione siano state concepite in passato e come oggi, a distanza di secoli, il dibattito non sia affatto concluso. Le domande che ci pone sono tanto etiche quanto politiche: fino a che punto una società può permettersi di infliggere la morte come punizione? E se i crimini possono essere visti come “atti contro l’umanità”, non è forse anche l’esecuzione una violazione di quei diritti universali che dovrebbero appartenere a ogni essere umano?
Per noi, spettatori del XXI secolo, è un compito delicato cercare di comprendere il passato senza giudicarlo troppo frettolosamente. Ma, allo stesso tempo, è altrettanto nostro dovere non dimenticare la lezione della storia, per non ricadere negli stessi errori.
“Condannati a morte a Vercelli” non è solo un viaggio nella memoria, ma un monito sul presente e su ciò che potrebbe riservarci il futuro, se dimenticassimo il valore inestimabile della vita umana.
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