Esistono luoghi che, celati agli occhi della maggioranza, sussurrano storie dimenticate, reminiscenze di un passato che si rivela solo a chi ha la fortuna di scoprirli. Questi angoli nascosti, sebbene non celebrati negli annali dell’arte, racchiudono l’essenza di vite trascorse, narrando vicende che meritano la nostra attenzione, parimenti alle opere più famose.
Uno di questi luoghi l’ho immortalato alcuni anni fa: la Chiesa dell’Immacolata Concezione, situata nel cuore antico di Vercelli, la mia città. Questo edificio del XVIII secolo, adiacente all’antico Ospizio dei Poveri, un tempo rifugio per bambini e ragazzi di famiglie in difficoltà, risplende di una luce malinconica.
L’Ospizio dei Poveri, nato dal regio editto del 19 maggio 1717 e passato nel 1852 sotto la gestione della Congregazione di Carità, utilizzava la Chiesa dell’Immacolata Concezione per le messe domenicali dei piccoli ospiti. I ricordi di quelle epoche si condensano in un aneddoto sussurrato dall’allora custode della chiesa, un uomo gentile che mi ha permesso di esplorare questo tesoro nascosto.
La statua del Cristo, oggi in alto accanto all’altare maggiore, un tempo era alla portata di tutti. Nei banchi della navata principale sedevano i “ciudin”, i ragazzi dell’Ospizio, così chiamati per i chiodini nei tacchi delle loro scarpe che risuonavano sul pavé delle strade. Le bambine, invece, assistevano alla messa dalla stanza accanto, separate da una grata, che in seguito fu persino coperta da tendine per evitare ogni sguardo furtivo.
Maschi e femmine erano separati con rigore: persino il cortile dell’Ospizio era diviso da un muro invalicabile. L’unico momento in cui potevano vedersi era durante la messa, attraverso la grata, con sguardi rubati e vietati, impossibilitati a toccarsi o parlarsi.
La statua del Cristo divenne il loro messaggero d’amore. Nonostante i divieti, i “ciudin” avevano trovato un modo ingegnoso per comunicare: nascondevano bigliettini dietro la statua. Il custode, un ex ciudin, mi ha raccontato di come, in quei frammenti di carta, scorressero parole di affetto e sogni segreti, una sorta di primitiva chat che faceva battere i cuori dei giovani ospiti.
Quei bigliettini, ora dimenticati, racchiudono l’eco di risate e sospiri, un tempo leggeri e pieni di speranza. Camminando per la chiesa, immaginavo le vite intrecciate in quei messaggi, il fremito di un’epoca passata che rivive nei muri silenziosi e nelle ombre delle panche vuote. In quei luoghi nascosti, dove il tempo sembra essersi fermato, risiede la nostalgia di un passato che continua a parlare a chi sa ascoltare.