Audio di approfondimento tratto dalla Rubrica “Pillole d’Arte” di Radio Cyberspazio
L’installazione Another One Bites the Dust di Yu Hong, allestita nella suggestiva Chiesetta della Misericordia a Venezia, si erge come un dialogo potente e anacronistico tra arte contemporanea e spazio sacro. Immersa in un ambiente che sembra sospeso nel tempo, la mostra non si limita a proporre una riflessione sulle grandi tematiche dell’esistenza umana — nascita, morte, desiderio — ma sfida apertamente i confini tra storia, spiritualità e l’instabilità del mondo moderno.
Entrare nella Chiesetta della Misericordia è già un’esperienza che racchiude secoli di storia. Fondata nel 939 d.C., la chiesa, oggi sconsacrata, conserva tutto il fascino di un luogo che ha assistito al lento logorarsi del tempo. Le pareti segnate, in parte restaurate e in parte lasciate nude, mostrano mattoni scrostati, accanto a tracce di antichi intonaci decorati. Lo spazio, nella sua attuale forma incompleta e quasi decrepita, evoca un passato stratificato, un palinsesto architettonico che si trasforma in una tela viva, pronta ad accogliere il presente. Sotto la copertura di un soffitto ligneo, attraversato da grandi travi che si aprono come le costole di un animale mitico, la volta dipinta con stelle dorate sembra quasi aspirare lo sguardo verso l’infinito. Questo contesto unico amplifica la carica simbolica delle opere di Yu Hong, che sembrano così radicate nello spazio da apparire una naturale continuazione della chiesa stessa.
Le tele di Yu Hong, grandi, potenti e dipinte su fondo dorato, risuonano con una sacralità quasi liturgica. Il fondo dorato richiama immediatamente le icone bizantine, collegando la tradizione pittorica del sacro al linguaggio contemporaneo. Ma qui, i santi sono sostituiti da corpi nudi e vulnerabili, che si torcono, cadono, e volano in pose al contempo drammatiche e dolorosamente reali. Le opere esplorano il tema del corpo umano in tutte le sue declinazioni: nascita, caduta, dolore, e infine morte. In particolare, le grandi tele circolari fissate alle pareti laterali, come enormi reliquie, raffigurano arti contorti o figure sospese in uno spazio dorato che sembra espellere qualsiasi riferimento temporale concreto.
Lo stesso titolo della mostra, Another One Bites the Dust, evoca un’immagine di fragilità e caducità, riprendendo l’iconica frase pop degli anni ’80 dei Queen, ma trasformandola in una riflessione sulla transitorietà della vita. La caduta di un corpo, la sua lotta, viene vista qui attraverso il filtro del divino e del profano: Yu Hong combina abilmente elementi del realismo pittorico sovietico con l’espressionismo, dipingendo con tratti dinamici ma precisi, talvolta con una sorta di ferocia emotiva.
Nel contesto di una chiesa sconsacrata, questa mostra assume significati profondi e stratificati. Lo spazio sacro e la profanità dei temi trattati si fondono in una sinergia inquietante ma allo stesso tempo illuminante. La vulnerabilità del corpo, qui rappresentata nella sua forma più cruda, viene elevata a un livello quasi mistico grazie alla composizione, all’ambientazione e alla potenza narrativa di Yu Hong.
Un’opera particolarmente suggestiva è il grande polittico posto sull’altare, dove i corpi contorti e scollegati della parte centrale richiamano una sorta di via crucis laica, ma senza la certezza della redenzione. È piuttosto una meditazione sulla precarietà dell’esistenza stessa, sospesa tra speranza e disperazione. Intorno, altri pannelli si aprono come pale d’altare moderne, dipingendo cicli di vita e di sofferenza, in un perpetuo dialogo tra il presente e il passato.
L’installazione non si esaurisce in una rappresentazione passiva del dolore umano: Yu Hong esplora il rapporto tra l’individuo e la collettività, tra il personale e il politico. Un esempio emblematico è il grande pannello che mostra un gruppo di persone su una barca in mezzo a un mare in tempesta, un chiaro riferimento alle attuali crisi migratorie e alla catastrofe ambientale. L’immagine non lascia spazio a fraintendimenti: il destino dell’umanità è qui rappresentato come un viaggio pericoloso, dove la sopravvivenza è tutt’altro che certa.
Another One Bites the Dust non è solo un esempio straordinario di pittura figurativa contemporanea, ma un incontro riuscito tra spazio, tempo e narrazione visiva. La scelta della Chiesetta della Misericordia come sede di questa mostra si rivela particolarmente azzeccata: un luogo di antica spiritualità che diventa il contenitore perfetto per un’arte che riflette sul destino dell’uomo, oggi come secoli fa. Qui, le opere di Yu Hong non sono solo esposte; respirano e vivono insieme all’architettura che le ospita, creando un’esperienza multisensoriale e intellettuale che persiste anche dopo aver lasciato lo spazio espositivo, lasciando una traccia indelebile nella mente e nel cuore dello spettatore.
Marco Mattiuzzi
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