La Pietra Filosofale, la trasmutazione del piombo in oro, e l’Elisir di Lunga Vita: miti che hanno animato la fantasia umana per secoli, come un’eco arcana della sete di potere e immortalità. L’alchimia, questa antica e misteriosa disciplina, ha intrecciato il suo cammino con le trame dell’arte, dando vita a immagini affascinanti e simboliche che racchiudono segreti riservati a pochi eletti. Tra leggende millenarie e pratiche occulte, la ricerca alchemica è stata spesso vista come un viaggio non solo materiale, ma anche spirituale. I dipinti dedicati all’alchimia, come testimonianze vive di un mondo quasi mistico, sono carichi di simboli che parlano di mutamenti, trasmutazioni, e di una comprensione profonda della natura.
Secondo alcuni studiosi, già nell’Antico Egitto si praticavano forme di alchimia. Altri sostengono, in un salto ancora più ardito, che la tradizione affondi le sue radici nella mitica Atlantide, luogo dove gli esseri umani erano in simbiosi con il divino. Ma leggende a parte, cosa rappresentava veramente questa “scienza occulta”? David Teniers il Giovane e altri grandi pittori del XVII secolo ci offrono ritratti indimenticabili degli alchimisti, ritratti che non sono solo opere d’arte, ma finestre su un’epoca e su una visione del mondo. Attraverso questi dipinti, si osservano uomini intenti a distillare elementi in un’atmosfera quasi sacra, circondati da misteriosi strumenti e fumi evocativi. I laboratori ritratti in queste opere sembrano grotte d’ermiti, luoghi oscuri e affollati, pieni di bottiglie, ampolle e alambicchi che danno vita a un caos quasi mistico, in cui tutto sembra suggerire che l’alchimista non è solo uno scienziato, ma un sacerdote in comunione con il divino.
Nel mondo dell’alchimia, ogni strumento possiede un significato intrinseco, che va oltre il suo semplice utilizzo. Prendiamo ad esempio l’athanor, il crogiolo per eccellenza, simbolo di eternità, il cui fuoco incessante si dice rappresenti la trasformazione dell’anima. Usato per separare gli elementi attraverso il processo della distillazione, l’athanor simboleggia il passaggio dal materiale all’immateriale, dal mortale all’immortale. In alchimia, ogni fase di trasformazione ha una valenza spirituale: la distillazione è vista come un rito di purificazione, una “elevazione dell’essenza”. Ed è forse per questo che l’alcol, uno dei prodotti principali della distillazione, viene chiamato ancora oggi “spirito”, richiamando l’idea di una sostanza che trascende la materia e si innalza verso il divino.
Un altro strumento immancabile in queste raffigurazioni è il mantice, che soffia aria sul fuoco alimentando la fiamma in maniera costante. Questo processo ricorda molto le pratiche di respirazione nelle discipline ascetiche, come il controllo del respiro negli esercizi di meditazione, in cui il soffio rappresenta la vita, il ritmo interiore. È proprio attraverso questo soffio che l’alchimista infonde vitalità nella materia, trasformandola in un simbolo di rigenerazione e rinnovamento.
Non meno importanti sono i libri, spesso presenti nelle rappresentazioni pittoriche degli alchimisti. Simbolo di conoscenza e saggezza, i libri in alchimia rappresentano il deposito di memorie e segreti tramandati da maestro a discepolo. Il libro è come il cervello, mentre l’athanor può rappresentare il cuore e il mantice i polmoni: ogni oggetto ha una funzione pratica, ma anche un significato ermetico più profondo, accessibile solo agli iniziati.
Il fascino dell’alchimia è rimasto immutato nei secoli, continuando a esercitare la sua influenza sull’immaginario collettivo e sull’arte. Questi dipinti sono veri e propri documenti visivi, una sorta di “fotografia” ante litteram del mondo oscuro e affascinante degli alchimisti. Artisti come Joseph Wright of Derby, che rappresenta il suo alchimista in una luce drammatica e teatrale, ci ricordano che la ricerca alchemica era, ed è ancora, simbolo di un desiderio umano profondo: quello di trasformare la realtà, di elevare la materia verso una forma più alta e spirituale.
Attraverso questi capolavori, possiamo quasi respirare l’odore acre del fuoco e dell’olio, percepire l’ombra dell’isolamento e il peso della concentrazione di questi ricercatori che, nel silenzio dei loro laboratori, non cercavano solo di trasformare il piombo in oro, ma di trovare un significato più profondo, che andasse oltre la materia.
Marco Mattiuzzi
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