L’opera “Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro” di Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio, è più di un semplice dipinto; è un microcosmo di emozioni e simbolismi che possono persino provocare la celebre sindrome di Stendhal, quel sentimento di profonda commozione estetica che talvolta coglie l’osservatore d’arte.
Stilisticamente, Caravaggio si pone in dialogo diretto con Michelangelo Buonarroti, il gigante artistico del Rinascimento. Caravaggio rende omaggio a Buonarroti prendendo ispirazione da due delle sue opere più emblematiche: la “Pietà” e il “Martirio di San Pietro”. Dalla prima, Caravaggio adotta l’angolazione del braccio disarticolato del Cristo defunto, una posa conosciuta nel linguaggio artistico come “braccio di Meleagro.” Dall’opera “Il Martirio di San Pietro,” riprende lo sguardo ardente di San Pietro e lo trasferisce nel suo proprio dipinto della “Crocifissione di San Pietro.”
Nel dipinto di Caravaggio, il gruppo di figure che circondano il corpo di Cristo è una raccolta di simbolismi e identità. In primo piano, Nicodemo, dai piedi nudi, sostiene il Cristo, assistito da San Giovanni Apostolo ed Evangelista, l’apostolo che Gesù amava profondamente. Dietro di loro, le figure femminili: Maria Vergine, Santa Maria Maddalena e Santa Maria di Cleofa, con le braccia tese verso il cielo in un gesto di disperazione e speranza.
Oltre all’emozione palpabile e alla maestria tecnica, il dipinto è permeato di un profondo simbolismo religioso, un riflesso del fervore spirituale di Caravaggio. Al centro dell’opera, la grande lastra di marmo su cui Nicodemo poggia i piedi serve come fulcro simbolico. Questa pietra è una risonante rappresentazione della “pietra angolare” menzionata nei Salmi: quella scartata dai costruttori ma che diventa fondamentale. Come Cristo stesso, la pietra angolare su cui tutto si fonda e da cui la resurrezione avverrà.
L’elemento vegetale del Tasso barbasso, posto forse in modo quasi trascurabile nell’opera, non è da sottovalutare. È un ulteriore simbolo di resurrezione, di vita che trionfa sulla morte. Alcuni osservatori hanno persino notato come Cristo sembri indicare con le dita della mano destra il numero tre, un accenno alla sua resurrezione dopo tre giorni nel sepolcro, toccato da un altro dito della stessa mano.
Le opere che esaltano e mettono in dialogo quest’opera di Caravaggio sono altrettanto iconiche: la “Pietà” di Michelangelo nella Basilica di San Pietro e il “Martirio di San Pietro” dello stesso Michelangelo nella Cappella Paolina, entrambe nel Vaticano, e infine “La crocifissione di San Pietro” di Caravaggio, situata nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma.
Nella sua magistrale “Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro”, Caravaggio esibisce una padronanza straordinaria del colore e della forma che va ben oltre la mera estetica. Ogni pennellata, ogni contrasto di luce e ombra è un linguaggio cifrato che apre le porte a significati più profondi. Il maestro del Barocco italiano non si limita a rappresentare una scena religiosa; egli tessere una narrazione complessa, carica di simbolismi e di emozioni sottili ma penetranti, che cattura l’essenza del divino e dell’umano.
La sua sensibilità nell’utilizzo del simbolismo religioso rivela un’intelligenza emotiva e spirituale rara. Da ogni dettaglio emerge la sua profonda consapevolezza delle Scritture e delle tradizioni ecclesiastiche, rendendo il dipinto non solo un capolavoro artistico, ma anche un enigma teologico da decifrare. La lastra di marmo, il Tasso barbasso, le mani del Cristo, ogni elemento serve come un tessera in un mosaico più grande che compone un ritratto sia della sofferenza terrena che della speranza celestiale.
L’opera non è solo un dipinto; è un invito. Sollecita chi lo osserva a soffermarsi, a ponderare e a immergersi nelle profondità delle sue molteplici dimensioni. Ogni volta che ci si avvicina a questa tela, si è accolti da nuove scoperte, nuovi strati di comprensione che emergono come veli rimossi uno ad uno. La “Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro” è, in questo senso, un viaggio spirituale tanto quanto un trionfo artistico. Invita all’osservazione prolungata e alla riflessione, richiedendo un’immersione non solo visiva, ma anche emotiva e intellettuale, in quella intricata tessitura di simbolismo e significato che rappresenta.
Marco Mattiuzzi