Durante una recente gita a Piacenza, organizzata dagli Amici dei Musei di Vercelli, mi sono imbattuto nell’Ultima Cena dipinta da Ulisse Sartini, collocata nel contesto sacro della Cattedrale. L’opera si impone allo sguardo con la sua fedeltà iperrealistica, sembrando catturare la realtà in una pausa eterna, dove ogni dettaglio lotta per attestare la propria esistenza materiale. Questo incontro visivo non ha però rispecchiato in me l’ammirazione generalizzata che spesso accompagna le opere di tale virtuosismo. Nella mia riflessione, l’iperrealismo si è rivelato come una dimostrazione di abilità tecnica, uno sfoggio di precisione che si distacca dalla profondità religiosa e concettuale dell’evento rappresentato, evocato con maestria ad esempio nell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.
In risposta a queste sensazioni, ho creato una mia versione dell’Ultima Cena, nata da un rendering 3D e rielaborata con cura in Photoshop. Nella mia interpretazione, Gesù e gli apostoli vengono sostituiti da scheletri, simbolo di un messaggio originale che si è perso nel tempo e nella memoria. La mia immagine vuole evocare la morte dell’insegnamento autentico di Gesù, una sorta di rinsecchimento dell’anima che oramai è diventata l’eterna quiete delle ossa.
La mia opera, dunque, sorge come contrappunto critico all’iperrealismo di Ulisse Sartini, un genere artistico che, nonostante la sua incredibile capacità di replicare la realtà, rischia di perdere il contatto con la dimensione trascendentale che l’arte sacra ha il dovere di esplorare. Mentre la precisione estetica può generare ammirazione, è nel linguaggio dei simboli e nell’interpretazione personale che risiede la capacità dell’arte di scuotere le anime e provocare introspezione.
Questa mia creazione digitale non ambisce soltanto a essere una rappresentazione alternativa dell’Ultima Cena, ma aspira a stimolare lo spettatore a una riflessione più intima e profonda sull’effimera esistenza umana e sulla progressiva erosione dei significati profondi nell’epoca contemporanea. L’arte non deve solo imitare la vita; deve anche, e forse soprattutto, cercare di dare senso alla nostra esistenza, illuminando le zone d’ombra che la scienza non può raggiungere.
Confrontando queste due visioni dell’Ultima Cena, quella di Sartini e la mia, emerge una discussione sulla natura stessa dell’arte: è sufficiente un’immagine che stupisca l’occhio, o abbiamo bisogno di opere che parlino direttamente all’anima? Ecco il dialogo che auspico possa nascere, un dialogo che possa incoraggiare gli osservatori a cercare nel profondo il vero nutrimento spirituale che l’Ultima Cena simboleggia.
Marco Mattiuzzi